Il governo ha approvato un disegno di legge quadro sulla valorizzazione delle aree agricole e contro il consumo del suolo. Leggi qui e qui. Un breve commento sul mirror, anche se non tutto l’audience potrebbe essere interessato ad un dibattito tecnico. Questo intervento sembra una sorta di sbavatura tecnicista, tipica della pianificazione territoriale e zonizzazione tradizionale, di stampo post-sovietico, addolcita da una retorica liberista. Lo Stato centrale che di nuovo torna ad occupare un posto che a lui non spetta, e calcola in modo centralizzato delle quote, tutte teoriche, di aree verdi da mantenere non edificate. Una quota che in alcuni casi può anche risultare in un incentivo politico alle regioni virtuose, che si vedrebbero confermare la ‘possibilità’ teorica di edificare entro i limiti definiti come ‘accettabili’ dallo stato. Purtroppo, è proprio questa tendenza al quantificare, al definire quote ed aree, tipiche della zonizzazione di meta 1900 che oggi deve essere abbandonata. Lo stato non può decidere quanto edificare a livello locale. Non ne ha le capacità. Quello che dovrebbe fare a mio parere è innanzitutto stabilire aree di interesse nazionale (tipo parchi e riserve naturali) e vietare l’edificazione per legge (in questo senso lo fa selezionando anche le aree che hanno avuto incentivi europei, perché agricole…ma poi quelle non coltivate chi se ne importa).
Secondo, incentivare in vari modi una pianificazione più corretta e sostenibile a livello locale. Per fare questo bisogna lavorare su incentivi fiscali per i comuni virtuosi, possibilmente combinati a politiche di energia sostenibile. Un esempio, sussidi diretti alla realizzazione di impianti eolici o fotovoltaici inversamente proporzionali ai metri quadrati destinati all’edificazione in un periodo determinato. Meno un comune cambia le destinazioni d’uso più incentivi ha per l’energia, che poi può rigirare ai privati (dato che l’iniziativa nel campo energetico è spesso privata). Infine, lo Stato dovrebbe lavorare sulla fiscalità. Rendere i comuni meno dipendenti dagli oneri di urbanizzazione per il finanziamento della spesa corrente. Ma non per divieto, come accade con il suddetto decreto (che di fatto elimina l’obbligo che era stato imposto per una pratica sbagliata, senza che si capisca il perché) ma tramite quello che da millenni chiamiamo sussidiarietà. Il comune, e anche la regione in questo caso, deve essere più indipendente nell’utilizzo della propria fiscalità, e questo potrebbe ridurre il ricorso all’edificazione per fare cassa. Certo ci sarebbe un aumento delle tasse locali, ma questo dovrebbe essere bilanciato dall’alleggerimento di quelle sovranazionali. I detrattori della decentralizzazione amministrativa mi potrebbero smentire puntando il dito al consumo del suolo Americano, di fatto incentivato da una eccessiva autonomia fiscale dei singoli comuni. A loro rispondo: 1) in Italia le tasse sono più alte che in America, e i comuni non hanno solo l’urbanistica per fare cassa, 2) in Italia le regioni dovrebbero svolgere il vero ruolo di redistributore di ricchezza, evitando la competizione tra comuni per le entrate fiscali.
Un giudizio complessivo negativo per un decreto che sembra ispirato all’intellighenzia di altri tempi. Forse questi tecnici si stanno prendendo troppo sul serio.
A presto
federicov