Entrare in un centro sociale autogestito è sempre una bellissima esperienza per me. La sensazione non cambia se sono ad Amsterdam, Milano, Roma, Copenaghen o Jesi; o che li si chiamino Squat, centri-sociali, spazi comuni, villaggi autonomi o aree franche (ad esempio Cristiania a Copenaghen). Nonostante la varietà di formule di gestione, proprietà immobiliare, organizzazione interna e rapporti con le amministrazioni, questi spazi raccontano storie interessanti. Esse riguardano aspetti importantissimi delle nostre città, dal tema dello spazio pubblico nelle sue svariate definizioni a quello più generale di bene comune. A causa della loro forma organizzativa ibrida, questi spazi spesso sono difficilmente inquadrabili in politiche urbane precise, in schemi catastali oggettivi o in formule legislative esatte. Quello che li accomuna è il fatto di essere esperienze che si formano negli interstizi istituzionali, normativi e immobiliari lasciati vuoti dalle politiche urbane tradizionali o del mercato. Gli squat olandesi nascevano per esempio come pratica di riappropriazione di spazi abitativi pubblici e privati lasciati in decadenza dalle politiche di suburbanizzazione degli anni 70. I centri sociali italiani, seppur con una diversa forma, propongono una simile pratica di occupazione di spazi pubblici o privati inutilizzati per molto tempo e reindirizzati verso un obiettivo più sociale.
A Jesi lo spazio comune TNT racconta una simile vicenda urbana. Un’esperienza quasi trentennale che in tutti questi anni è sopravvissuta, mutata e migliorata, senza mai abbandonare il carattere originario di indipendenza e autonomia dall’amministrazione locale. Non conosco bene la storia del passato (che inizia negli anni ottanta in un caseggiato alla periferia di Jesi), ma lo spazio comune TNT oggi si presenta al visitatore come un agglomerato di associazioni, sia formali che informali, che usufruiscono e gestiscono assieme un edificio abbandonato adiacente alla ferrovia. Un edificio che a causa delle ristrutturazioni organizzative dell’azienda sanitaria locale, e a causa della location non proprio centrale, fu praticamente lasciato sfitto, vuoto ed inutilizzato per due decadi. Un peso sulle spalle dell’amministrazione locale si direbbe oggi. Un edificio che nel suo piccolo rappresenta la storia drammatica di molti edifici pubblici della città, che dopo essere rimasti vuoti per anni, vengono poi riprogrammati entro un quadro di valorizzazione immobiliare da parte dell’amministrazione comunale. Come tanti altri edifici, in parte storici, della città, l’ex sede dell’ASL viene data in gestione ad una azienda municipalizzata di valorizzazione fondiaria, con il compito ingrato di trovare un compratore in un mercato fermo, inesistente. In sostanza di svendere un’immobile invendibile al momento. Il centro sociale TNT occupava originariamente un’altra palazzina, sempre nella stessa zona, ma a causa di un danno strutturale ha dovuto cercare un altro luogo. Ed è in questa ricerca, questo movimento verso altri luoghi, che anima un più ampio dibattito sull’uso del patrimonio pubblico, sul ruolo sociale e culturale delle associazioni spontanee cittadine e sulle forme organizzative di una partecipazione cittadina vera, attiva e coinvolgente nel territorio.
Probabilmente per le sue fattezze politiche, autonome, spesso radicali e attiviste, il centro sociale TNT non sembra essere trattato come una vera associazione cittadina. E forse non lo è, dato che si presenta come una rete di associazioni. La storia è intricata ma in passato uno spazio per il centro sociale viene prima occupato negli anni 90 e viene poi avviato uno lento e labirintico processo di regolarizzazione che purtroppo non avrà mai fine. E’ in quegli anni che la gestione di immobili sfitti da parte di un gruppo di associazioni variegato, non solo politico, ma di stampo anche culturale e sociale, diventa di per sé una questione politica. Oggi il TNT si propone come un aggregato di più associazioni che condividono uno spazio. Sono associazioni culturali, sportive, perfino una radio, che propongo attività volte alla integrazione multiculturale, al consumo sostenibile, e alla sensibilizzazione verso temi politici importanti. Un Eco-mercato, un organizzatore di eventi musicali, un atelier artistico e perfino una polisportiva che comprende vari sport. Tutte queste realtà condividono un luogo e vi costruiscono la propria identità. Sono coinvolte nella manutenzione e sono unite dal messaggio d’integrazione culturale e sviluppo sociale che il centro sembra proporre. Non esiste un vero manifesto, e, sì, la gestione rimane autonoma ed informale, ma varie proposte, anche esterne, sono sostenute (con spazi ma anche organizzativamente per gli eventi) se compatibili con un’idea di solidarietà e attivismo sociale che sembra comunque pervadere chiaramente il gruppo di ragazzi, giovani e non, che vi stanno dietro.
Le critiche fatte dai detrattori dei centri sociali sono spesso gratuite, mosse da gelosie politiche e personali. Si richiama spesso alle loro sfumature politiche (spesso criticate come radicali, o anche anarchiche) o alle praticità gestionali degli spazi (dalla sicurezza cittadina al problema della quiete notturna). Altri puntano il dito sulla natura attivista dell’occupazione, accusando gli occupanti di essere opportunisti che si impossessano di un patrimonio che potrebbe essere destinato ad altro (ovviamente nessuno lo sa a cosa). Tuttavia i centri sociali sono raramente il risultato di una irruzione forzata (e se lo sono tendono ad essere sgombrati velocemente o in parte regolarizzati). Anche a Jesi, lo spazio comune TNT è un ibrido normativo: è occupato ma non c’è stata una vera irruzione forzata e segreta (qui non conosco bene la storia ma vi è stato una sorta di dialogo con l’amministrazione su come, quando e dove traslocare quando la sede precedente ha avuto danni strutturali). Il centro non viene mai regolarizzato formalmente e rimane tutt’ora stabilmente incerto se e quando debba essere sgombrato ma rimane comunque attivo.
In tante altre città italiane ci siano kilometri quadrati edificati (sia pubblici che privati) abbandonati al degrado. Per quali motivi ostacolare una vera mobilitazione cittadina diretta al riutilizzo di spazi pubblici? Quali possono essere gli effetti negativi di tale fenomeno? Io non ne vedo, fermo restando il rispetto dei codici civili e penali e i regolamenti edilizi per la sicurezza personale e collettiva. Ogni amministrazione comunale dovrebbe capire il valore che le idee dal basso di gruppi di cittadini hanno. E non solo i gruppi che si propongano come obiettivi politici di cambiamento di lungo termine, ma anche quelli il cui unico scopo sia di coinvolgere altri cittadini in attività interessanti, spesso pratiche, ed educative, sportive o artistiche. L’unico modo per inserire una politica di riutilizzo di spazi pubblici a scopi pubblici tramite la promozione dell’associazionismo è quello di capire il valore ANCHE, ma non solo, economico di tale attività. Il riscontro indiretto che un tessuto sociale attivo e impegnato ha sull’economia urbana generale, sulla capacità attrattiva del luogo, anche per imprese e aziende, sull’immagine urbana verso l’esterno e sull’atmosfera generale di coesione sociale.
(andatelo a visitare)
A presto
fede